Ormai se non parli di AI non sei nessuno. Dico sul serio. L’altro giorno un partner che ci stava presentando un nuovo tool si è scusato perché “il nostro software è utile ma non usa l’intelligenza artificiale”. Mi ha fatto un misto di tenerezza e impressione. Ho pensato a come non siamo immuni ai trend neanche nel B2B: uno pensa di essersela cavata se non ha comprato la scarpa del momento, e invece…
Questo vuol dire che io sia contro l’AI? No di certo. Al massimo gli contesto l’enorme impatto ecologico, di cui ci scordiamo sempre perché tanto gli alberi e l’acqua che vengono utilizzati non sono dietro casa nostra, e quindi “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.
Ma, come tutti, uso ogni giorno Chat GPT et similia per aiutarmi nel mio lavoro. Mi aiuta in tante cose: a velocizzare i task noiosi, a tradurre testi con estrema precisione, a trovare spunti che non avevo individuato, ad analizzare file in un solo comando, a riscrivere mail in modo più fluido.
Però. C’è un però.
C’è una cosa che l’intelligenza artificiale ci toglie, e quella cosa è la fatica.
La fatica di comporre un testo chiaro e conciso, o di scrivere una frase grammaticalmente corretta in inglese, o di imparare ad usare un programma per l’analisi dei dati.
“Ma lo so già fare, perché dovrei perderci tempo?”
L’AI per chi sta iniziando ora a lavorare o studiare
Vero, tu magari lo sai già fare, ma pensa alle nuove generazioni [ndr: non so perché, tutte le volte che uso quest’espressione mi sento boomer e mi viene in mente questo video], a tutti quelli che iniziano ora a lavorare, e hanno già l’AI. O peggio ancora, chi inizia a studiare con l’intelligenza artificiale già a disposizione. Invece di imparare a scrivere un testo, se lo troveranno già bello e scritto, e dovranno solo revisionarlo. Invece di imparare una lingua, se la troveranno già tradotta, o meglio ancora avranno un traduttore in tempo reale. Con la differenza, però, che imparare una lingua non serve solo per comunicare: serve anche ad imparare una cultura, un diverso modo di organizzare i pensieri. Io studiando inglese ho imparato a scrivere in modo più conciso e diretto e ad organizzare le informazioni in modo gerarchico. Ma questo richiede anni di studio, di pratica, di fatica. Proprio ciò che l’AI ci toglie.
Tutti i giorni osservo il mio piccolo cucciolo di uomo, e penso ai mesi che ci sono voluti perché imparasse a mangiare da solo uno yogurt: prima ha dovuto “scoprire” di avere due mani, poi ha capito come muoverle, come si stringe un cucchiaino, come riempirlo di yogurt (con il lato concavo in alto), come portarlo alla bocca, possibilmente centrandola [ndr: sulla mira ancora ci stiamo lavorando]. A qualsiasi adulto sembra una cosa normale mangiare uno yogurt e quindi ci dimentichiamo che in realtà, come tutte le cose, è una competenza appresa, e per apprenderla abbiamo fatto fatica. Sarebbe bello risparmiarsi la fatica, certo, ma alla fine non è bello saper mangiarsi da soli uno yogurt?
L’AI per chi lavora già
E invece per le persone che già lavorano da qualche tempo, che ormai mangiano da anni non solo yogurt, ma anche spaghetti alle vongole e controfiletti, qual è il rischio?
Personalmente, ho trovato più di una ragione per cui ho deciso di inserire l’AI con moderazione nella mia vita lavorativa. Qui ti lascio i miei 5 cents, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensi nei commenti.
Primo motivo fra tutti, per mantenere il cervello in allenamento: è facile disimparare ciò che già sappiamo, o quantomeno “arruginirsi” quando non si fa qualcosa da diverso tempo.
Tip: ogni tanto faccio qualcosa a metà, e poi uso l’AI solo per una review finale. Ad esempio scrivo una mail in inglese e chiedo a Chat GPT di verificarne la correttezza, invece che farla scrivere direttamente all’AI.
Secondo, perché ci sono cose che devo per forza fare manualmente, altrimenti non riesco a fissare i concetti in testa e dare seguito con azioni concrete. Un esempio tipico è il meeting: ci sono un sacco di tool che trascrivono le riunioni, e creano to do list automatiche, ma a me raccogliere le idee dopo un incontro serve per ragionare sui prossimi passi, analizzare cosa può essere rimasto fuori, trovare un punto critico o un’opportunità. Senza questo passaggio faccio fatica a focalizzare quali saranno quelli successivi.
Stessa cosa per le presentazioni: trovo molto utili i tool di AI per rendere più gradevoli le slide, ma pensare al contenuto mi aiuta a lavorare sui dati o capire a che punto sono con il progetto.
Terzo, l’AI (per ora) rende tutto molto standard e “patinato”: non ha punti particolarmente bassi, ma neanche particolarmente alti, ad esempio non sa usare l’ironia. Va bene per una mail a un collega, ma non la userei per un intero testo di un blog, almeno non senza revisionarla.
Tip: se devo scrivere un contenuto e ho fretta, di solito dò in pasto all’AI una bozza e le chiedo di svilupparla in base allo stile di quanto ho già scritto. Poi ci rimetto sempre mano. Mi richiede anche un’oretta in più, ma il risultato è decisamente meglio.
Quarto, perché l’AI è ancora creata da uomini, e quegli uomini non sappiamo dove stiano andando.
Cose belle viste in giro
Anche per Jacopo Perfetti il rischio dell’Intelligenza Artificale (usata male) è quello di farci diventare “meno autonomi e più automi”
Visto che abbiamo parlato di cuccioli di uomo, ti segnalo una bella newsletter che spiega come l’apprendimento sia collegato alle emozioni che proviamo mentre impariamo (L’autrice ora è passata qui su Substack, da seguire se ti interessa la genitorialità, ma anche la crescita personale).
Out-of-topic: i migliori spot del Superbowl secondo Mizio Ratti. I miei preferiti? Uber Eats e… l’altro te lo lascio immaginare.
L’AI è una risorsa enorme per chi studia e lavora: rende l’apprendimento più accessibile e libera tempo da task ripetitivi, permettendo di concentrarsi su attività a maggior valore. Pensiamo alla possibilità di interrogare gli appunti di un docente tramite un chatbot o di velocizzare analisi complesse con un solo comando.
Capisco il timore che “tolga la fatica”, ma quale fatica? C’è una differenza tra lo sforzo che forma competenze e la perdita di tempo su attività a basso valore. L’AI non deve sostituire il pensiero critico, ma potenziarlo. Il vero rischio non è nell’AI in sé, ma in come scegliamo di usarla.